De Rerum
Vita
“I giovani? Sono skazzati, non gli va di fare niente, sono preda dell'apatia più completa, ma è normale, basta vedere il modo in cui si vestono, la musica che ascoltano, la poca voglia di vivere che hanno.” Firmato uno che li guarda dall'alto in basso. Quante volte avete sentito dire queste cose? Io troppe.
Ne ho le palle piene di sentirmi dire da tutte le parti che la mia generazione sta affogando nella sua stessa stronzaggine. Il fatto è che quelli dall'altra parte, quelli che criticano, hanno bisogno di demolire l'immagine dei giovani, perché sentono il bisogno di sentirsi superiori, per placare i loro rimorsi che li perseguitano dovunque, in ogni passo che trascinano in questo mondo, che è sempre un poco meno loro e sempre più nostro. Perché sono insoddisfatti? Perché hanno dovuto buttare nel cesso uno per uno i loro sogni che avevano da giovani, quando avevano qualche capello in più e il sorriso più facile. Quando la notte ancora sognavano, quando erano loro i ragazzi skkazzati.
E che ne è stato di questi animi felici, di questi spiriti liberi? Sopraffatte dagli eventi, quelle anime ribelli, si sono fatte incatenare dagli anni e dalla vita. Che è rimasto di loro? Dei relitti che non trovano niente di meglio da fare che giudicare male quello che loro erano una volta. Dovrebbero cercare di scendere dal piedistallo dove si autoglorificano come campioni della loro razza e guardare in basso dove c'è gente che riesce ancora a divertirsi.
Molti di questi iperborei diranno che loro non erano così stronzi alla nostra età. Loro erano stronzi in modo diverso. Si cerca di combattere il disprezzo del diverso in tutti i campi, perché non cominciamo con il cercare di capire i ragazzi che vanno in giro con i pantaloni rimboccati negli anfibi slacciati o con un colore di capelli che madre natura non ha ancora condiviso. E poi chiedono rispetto; certo, dovremmo rispettare qualcosa che ci disprezza.
La cosa peggiore però non è questa, perché dopotutto l’ostracismo è reciproco: io non ti tocco, tu non skassi troppo con le tue storie di morale che il comune senso del “bello e giusto” ti ha infilato in testa a martellate. La cosa triste è la certezza di dover diventare come loro. E, triste ma vero, noi tutti siamo inevitabilmente condannati a diventare tutto quello che ci fa ribrezzo ora.
Gli anni passano, la scuola finisce, la vita incatena anche noi, il lavoro dà sempre meno soddisfazioni e si cominciano a fare le cose perché si deve. I capelli bianchi aumentano, il sabato sera si è troppo stanchi per uscire, si comincia a pensare che si sono lasciati passare anni senza fare nulla di significativo e che tutto sarà così per il resto della vita.
Ed ecco qua che ci si comincia a trascinare fuori dal letto la mattina, si dimentica come si ride. Non si ricorda più che sapore ha l'attesa al freddo per entrare in un locale strapieno, cosa significa imbucarsi ad una festa di principi e cenerentole mentre la cosa più elegante che hai addosso è la felpa di Lupo Alberto. Non si ricorda più che senso ha il ridere solo perché senti in circolo la birra che ti sei scolato. Non bastano più una macchina e cinque persone dentro per divertirti.
Eppure una volta era tutto così semplice, bastava allungare la mano e la felicità era lì che ti aspettava. Skazzati, ma con il sorriso sulle labbra. Nullafacenti, ma con dei sentimenti veri. Vestiti male, ma se stessi fino in fondo. Nessuno vuole che questo accada, ma l’unica cosa da fare per non diventare statue isolate dalla vita è cercare il motivo per cui non lo si è già adesso.
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