fukin'novel'bout Franzesq
(1)
Franzesq aveva un brutto difetto: in pratica: era più forte di lui: non poteva fare a meno di rompere tutti i patti che sottoscriveva. Questo suo essere, per così dire, anti-pattico, gli creava non pochi problemi, specialmente presso le genti il cui dialetto elideva sistematicamente le doppie (quindi dopie), gente che fondalmente (cioè per questione fondante) non poteva non trovarlo antipatico. Come dar torto a questi individui (si cerchi pure il modo, lo si individui): le questioni grammaticali sono fatalmente inoppugnabili.
Anche il suo amico Nome Cognome gli rimproverava questo difetto e l'unica risposta che ne riceveva ruotava intorno ad una certa mancanza d'arbitrio ed una fiducia cieca in un destino che prima o poi avrebbe riscattato entrambi.
-Parli di riscatto, come se noi avessimo un valore!- ribatteva a volte Nome Cognome, increspando la spaziosa fronte, adombrata dalle fronde dell'albero di fronte. Al che Franzesq rispondeva placido -Molto più di quello che pensi!-, aggiungendo a volte -E molto più di quello che pensa quel tizio che muove la penna, qui sopra il foglio.-
-Mi fai paura -, rispondeva lui.
-Attento, la paura è la madre dell'abiura!-
-E il padre?-
-Un saraceno di nome Abi, scampato alle crociate. Abi il girovago mise incinta la paura e poi sparì.
-Certo, questi studi storietimologici che fai sono veramente interessanti. Sono contento che ogni tanto le università aprano una nuova facoltà apparentemente inutile per venire incontro al presente.
-Anch'io, anche se a volte avrei preferito studi meno stocasticamente determinanti. A proposito, sai che fine fece Abi?
-Dimmi!
-Se ne son dette tante, ma così tante che ora siamo certi che Abi aveva smesso di girovagare per fermarsi in un solo posto: era diventato un abitante.
Nome Cognome era sbigottito: -Ma quante ne sai!-
-Tante!
(2)
Sdraiati sull'erba non esattamente asciutta, i due continuavano a conversare (contiversavano) con placida mente, ascoltando distratti la musica di sottofondo, infusa sotto sotto dal nulla a sfatare il silenzio di sfondo.
-Si può abbassare un po' il volume?- chiese Franzesq.
-Perchè mai?- gli si rispose.
-Si sappia, in fondo in fondo col rumore mi confondo!-
-Si crede bravo lei? Perchè non si dà al rap? Comunque abbasseremo un po' il volume.- E la musica dissolse fino a confondersi cogli altri suoni del mondo. Come in ogni film che si rispetti, anche qui la colonna sonora era fondalmente importante. Non che questo fosse un film, comunque. La nostra colonna sonora è nel più pieno stile dorico, rastremata verso l'alto ma non scanalata, piuttosto scalinata a chiocciola. Si dice che una formica che salisse tutta la scalinata non scanalata fino in cima alla colonna, si troverebbe più in alto che non prima di salire.
-E' strano questo tuo conversare con l'aria- proruppe Nome.
-Sai come si dice, è meglio intrattenere l'aria che lasciarla scappare!-
-E chi lo dice? Mai sentito dire.-
-Dici? Lo diceva per certo uno dei miei nonni-, rispose Franzesq indicando con l'indice il cielo color indaco.
-Indagherò- chiosò Nome Cognome, rotolando poi lesto verso l'umbratile ombra dell'albero da fusto, con giusto gusto.
-Eh, i miei nonni-, sospirava intanto Franzesq, -mi sovviene quella volta in cui...
(3)
Continuava ad essere davvero una bella giornata, il sole sferzava di raggi solari la landa assolata (assolanda), i nostri eroi sdraiati sull'erba guardavano entrambi verso quel bel paio di cosce che si avvicinava.
-Ciao Angie!- esternò Franzesq.
-Ciao Ariel!- intervenne Nome Cognome, a dar cenno della sua esistenza.
-Ciao ragazzi!- rispose ad entrambi quella ragazza che erano soliti chiamare con nomi diversi. Angel (il nome che le daremo noi per evitare confusione, o per generarne ulteriore) portava a tracolla una stuoia e alla cintola una stuola di bottigliette da un litro scarso, di colori diversi, di uguale forma e sostanza e all'apparenza della stessa consistenza vetrosa.
-Volete un po' di vodka, ragazzi?- chiese loro Angel.
-Perché no, Angie? Non so, quindi perché non sì?- arzigogolò Franzesq.
La risposta di Nome fu più o meno concisa: -Aahhh sì, un bel sorso alla pesca!-
Il ruolo della bottiglietta di vodka alla pesca era però nel frangente laconicamente secondario, giusto il tempo di una scrollatina allegorica per lasciar posto alle parole di Angel, -Cavoli! E' l'unica vuota! Mi son rimaste melone, fragola e menta.-
D'istinto, guardandola di striscio, Nome non potè che buttarsi sulla fragola, anche se un minuto più tardi, a mente (menta) fredda, forse freddata dalla vodka gelata, terminò in privato il suo processo decisionale propendendo (appunto) per la menta. Ma ormai il bicchiere era già colmo di liquido rossastro, e bevve.
Nel frattempo Franzesq aveva terminato la sua prova di oratoria propendendo per un 'sì' poco accentuato che gli avrebbe protetto le spalle in caso di sollevazioni popolari.
-E' veramente terminata quella alla pesca, Angie?- chiese, cercando di riportare l'attenzione su quella comparsa così in fretta scomparsa; aggiunse: -Perchè sai, la gente dimentica.-
-Veramente sì, è terminata- rispose lei, senza degnare la bottiglietta neanche d'una occhiata.
-Non t'importa l'intuizione che la gente dimentica?-
-Basta che non dimentichi di pagarmi, può fare quel che vuole!-
-Ho proprio voglia di pagarti oggi, Angie, quindi versami un gusto a tua scelta e brinderò per te!-
Angel versò, Franzesq bevve, poi pagò, infine Angel salutò e si avviò verso il prossimo gruppo di giovani gitanti gitani stesi all'erba (e forse dall'erba).
-Che bionda,- sospirò Franzesq ammirandone la buonuscita elegantemente sculettante.
-Che castana chiara,- puntigliò Nome a sua volta. Guardavano la stessa figura ma ne vedevano diverse: Angie era bionda, allegra, estroversa, figlia del sole; Ariel era castana chiara, un po' timida e sognatrice, figlia della luna. In fondo non ci si stupisce che le dessero nomi diversi. Quanto a noi, Angel aveva bei capelli lunghi, di un qualche bel colore, figlia dei fiori, nata dal polline e da un'ape ballerina. Su pochi punti concordiamo tutti: forse non era così brava a letto, ma i suoi baci bruciavano per giorni, e di certo il suo nome iniziava per 'a'.
(4)
-Non sono un buono- s'autodefinì Franzesq con fare definitivo.
Nome Cognome lasciò fare, cambiando discorso: -Che mi dici di ieri?
-Ero in strada con Rino, girammo tondo fino al pranzo, che pranzammo in via Manzoni prendendo un branzo di manzo a portar via. Puoi capire, aveva un odorino che mi ricordò il vecchio otorino. Dopo branzo, ehm cioè dopo pranzo, saluto Rino e vado a trovare l'otorino, scusando un controllo. Mi dice 'cosa la porta qui?'. 'In verità, un odorino', gli rispondo. 'Si tratta allora delle vie respiratorie. Respiri forte e dica tutto ok'. Lo faccio e lui riprende 'ha ragione lei, non c'è niente che non vada'. 'E allora?' gli faccio io. 'Per l'appunto, vada!' e mi congedò con cotanto cordoglio, proprio così mi condogliò.
-Che giornata bislacca!- fece Nome senza far nomi.
-Io direi trislacca, a sentire la terza cosa che successe: condogliato dall'otorino, decisi di tornar da Rino; mi incammino per vie e traverse e quasi inciampo nell'arrotino, suppergiù al tramonto e soprattutto all'incrocio, finendo sottosopra, persino, per non lasciarmi arrotare. Lui si scusa e mi propone il baratto di una ritta arrotata al tritacarte per un barattolo di carabattole e tre carote incartate: corretto, rinunciai al baratto e gli augurai una cataratta mentre me ne tornavo ratto a casa, senza più passar da Rino.
-Che giornata trislacca!- fece Nome, com'era ormai d'uopo.
-Lo dico anch'io, m'è valsa ben tre lacche!-
(5)
Nome Cognome, Nomignolo per gli amici, capì di esser capitato nel quinto capitolo ed aprì le danze lamentandosi della sua ragazza: -Le cose vanno sempre peggio con Qwerty, non la sopporto più.-
-C'è di peggio,- fece Franzesq, -io sono sempre solo come uno stronzo...-
-... per non parlare del tizio che racconta la storia,- rimarcò Nomignolo, -a quello ormai non gliela danno neanche in sogno...-
E' brutto rendersi conto di non ricevere rispetto neanche dalle proprie fantasie. A quel punto il cielo di coprì subitaneo di nubili nubi ed un fulmine improvviso sdraiò Nome a terra come non avrebbero potuto fare neanche tre anni di Berlusconi al governo italiano. Le nubi passarono e vennero cento gentili uccellini celiando certo con parole centellinate circa l'elevare il linguaggio.
-Elevare? Elevatevi voi dalle scatole!- risposero i due, l'uno punto sul vivo e l'altro impuntato e sul chi vive. Gli uccellini fecero compassati cerchio intorno a loro e valorosi volarono via, non prima di aver scacazzato sberleffi e guano in testa ad entrambi.
(6)
Si era presto fatto tardi, in quell'allettante buco di prato bucolico, il sole caliente calava giù lento come una lenza penzola allentata dalle acque.
I due si salutarono augurandosi salute e Franzesq s'incamminò per la strada di casa, perso persino tra pezzi di pensieri mezzi persi, poi disperse i pensieri nei loro componenti primari, penne e sieri. Alzò gli occhi al cielo ormai scuro, si curò di schiarirsi la voce e interrogò il silenzio: -Scusa, posso chiederti il tuo scopo?-
Le poche nuvole in cielo si raggrumarono e si scossero, come a schiarire la voce della volta celeste (a quest'ora, in verità, azzurro scuro). La volta svelò la voglia di vociare e si immise in fretta in quello che può essere considerato il dialogo più importante (o semplicemente il dialogo) del sesto capitolo: -Come no, al tuo servizio, novizio. Il mio scopo è intrattenere il pubblico.
-Intrattenere il pubblico? Che basso intento, non mento, è ciò che sento.-
-Ognuno fa ciò che vuole, no?-
-Ognuno, sì, a parte noi, qui, a seguire le tue fantasie per 'intrattenere il pubblico'! Che sozzeria.
-Non ti piace fare quello che fai?
-Dirai quello che TU scegli di farmi fare...
-Secondo te sto imponendo IO questo dialogo? Sprecherei il tempo in questo modo?
-Beh, se piace al pubblico...
-Allora vuoi litigare! Non vedi che io non c'entro niente con quello che succede ora?
-Prova a levare la penna dal foglio e vedremo se non c'entri niente!
-Ok, la penna è necessaria, è il tuo respiro, l'aria che ti entra nei polmoni. Ma cosa c'è di male? Anch'io ho bisogno di respirare aria, per vivere.
-La tua penna non è soltanto ciò che respiro. La tua penna è ciò che vedo, ciò che sento, ciò che faccio. La tua penna è tutto ciò che vivo. Non capisci? Io non posso scegliere.
-Ti sbagli. Ti sbagli perché mi sopravvaluti. Tu credi che io pianifichi la tua vita, mentre invece scrivo di getto, per ispirazione.
-Per non prenderti responsabilità.
-No, per non condizionarti coi miei pensieri. Cerco di tenere la testa altrove quando scrivo.
-E intanto qui la mia vita viene decisa da stupidi, fessi, idioti giochi di parole. Che probabilmente deliziano il tuo colto pubblico.
-Senti, se non ti va bene facciamola finita qui.
-Cos'è, ti ho punto? Dove sono finiti, a proposito, i tuoi leziosi lazzi lessicali?
A quanto pare questo dialogo sarebbe durato molto più di un solo capitolo...
(7)
Solstizio di noi, pensava Nome, mentre Qwerty si imburrava le labbra guardando altrove e Franzesq rimaneva in strada ad inveire allo scrittore.
Solstizio di noi, il nostro giorno più corto; non riusciva quasi a crederlo, vedeva il volto imbronciato di lei riflesso nel vetro e pensava come solo pochi capitoli prima stava tranquillo sul prato fraseggiando frasi fatte fra le fratte. Via dalla testa, si impose, tuttavia non gli riusciva di trovare le parole appropriate.
Lei, lontanissima, poco più in là attendeva con la testa piena di pensieri ed un ticchettio continuo che segnava i momenti sprecati, acuendo le colpe e se possibile i rimorsi; pensava a un bisogno di pace e solitudine come solo il plenilunio avrebbe potuto, ma non era nè l'ora nè il giorno.
Solstizio e plenilunio, e non sapevano che farsene. Quello che c'è e quello che dovrebbe, col buio intorno come unica costante. Il sipario cala ben presto sulle loro teste, un manto nero protegge le loro braci. E' il tempo dei sogni, per noi dall'altra parte, di immaginare un futuro per queste anime prigioniere nell'abisso del dubbio e dell'aspettativa. Solo per un attimo, prima di voltare pagina, o due, indugiando un po' come nei sogni più importanti.
(8)
La pancetta sfrigolava tristemente nel minuscolo padellino mentre l'acqua accanto si avviava sonnecchiosamente a ebollizione. Nome guardava al fornellame con la nostalgia inestinguibile tipicamente generata dalle microporzioni da single.
La narrazione proseguiva stanca e piena di avverbi tronfi e inopportunamente mal posti, era una bigia mattinata senza luna, proprio come tutte le altre. Il telefono non aveva per niente squillato, quest'oggi, al contrario della sveglia, assurda provocatrice in un dormiveglia proficuo e riverito da labili illusioni.
Dopo il pasto frugale e amatriciano contornato da un caffè scotto, Nome si concesse un goccio di sambuca senza la mosca, come incentivo a scavare e cercare di recuperare dentro di sè qualcosa di più di quel giullare stanco che agitava spesso le sue membra.
Scavò e cercò, riportando a galla il ritmo schietto e cadenzato della Annen Polka, dei tempi in cui scriveva ogni parola in lettere sovrapposte, esprimendosi con la massima sincerità arrivando quasi a bucare il foglio, stratificando sempre più l'inchiostro in una parodia scontata degli ideogrammi cinesi.
Nel frattempo Franzesq era ancora metaforicamente dietro la lavagna, a rimuginare sugli esiti del suo sfogo. Attaccare lo scrittore aveva prodotto nient'altro che un capitolo e mezzo di abbandono, di per sè accettabile. L'unica vendetta possibile nei suoi confronti era stata l'indifferenza, sarebbe stato da intuire. Ora, priva del protagonista, la storia langueva nel limbo che possono capire solo i pulsanti di pausa dei videolettori, o gli addetti alle moviole.
-Cosa ho io? Ho una libertà che neanche mi immagino-, blaterava Franzesq, riempiendo di anidride carbonica l'aria circostante.
Una libertà che neanche immaginava, la libertà di non comparire.
(9)
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq ed avrebbe continuato a farlo finché la narrazione ne avesse beneficiato, cioè finché lo spirito critico dello scrittore non avesse detto basta.
-I'm the stupid entertainer- canticchiava Franzesq incurante delle piccole frange corrugate che il getto continuo d'acqua iniziava a disegnare sulla sua pelle.
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq, stando al gioco.
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq, guardando le ore dei mortali scorrere imperterrite di fronte al suo sguardo cristallizzato, beato dell'attimo sublime d'immortalità che solo alle fantasie è concesso vivere.
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq, riferito a tutti i passanti di questa strada trafficata intenti a misurare il cordoglio, intenti a valicare ogni accenno di pietà fino al proprio turno all'appello. Facci vedere cosa sai fare, cittadino tecnologico, dicevano gli occhi di Franzesq.
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq e si trovò quasi a ridere, a pensare all'evidente falsità di quella messinscena. Lui non intratteneva proprio nessuno, perché semplicemente non appariva; non c'era alcuna immagine da fissare, non si sapeva neanche il colore dei suoi capelli, cosa vuoi allora che ne importi alla gente. Allora fece un gesto inaspettato, si passò la mano all'indietro, lentamente, sui suoi biondi capelli rasati, costringendo lo scrittore a seguire il gesto tra il compiacimento e lo sconforto, cioè con un sentire completamente privo di senso.
-I'm the stupid entertainer- cantava Franzesq, arrivando al culmine della noia, guardando la mano stranito come fosse tornata da un lungo viaggio. Gli venne da ridere, di nuovo, pensando al suo pubblico, ma ora non per la falsità, quanto per la pazienza regalata alla speranza, al cercare di cavare qualcosa da parole buttate molto più che a caso, con studiata negligenza. Rise, commosso, alla banalità brutale dell'esistere, alla sfacciata solitudine dei pensieri, all'intemperante presa di coscienza dell'assenza delle cose, e le invidiò. Mentre le sue labbra cantavano -I'm the stupid entertainer.
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