casa si avvicina
Nebbia fitta e vetri appannati, buio completo rischiarato ogni tanto da sbadigli come candeline sulla torta dei diciotto. Casa si avvicina, l'orologio scorre al ritmo di quel buon blues degli Hot Tuna dei tempi migliori, tutto quel che basta per non sentirsi solo, un sollievo e un imbroglio sottile, perché la musica alta non fa compagnia, allontana solamente i cattivi pensieri, ti pare poco. Casa si avvicina, Anna rimane al suo posto, avrà finito di lavarsi ed ora sarà già a letto nel suo pigiamino pastello a leggere un libretto da mille lire, piccolo antidoto per la sua Anna frastornata di pensieri, la stessa Anna che dopo tutto fra dieci minuti si addormenterà dimenticando tutto. Le cose non vanno per niente bene, Anna è bella, Anna è sola e fragile, Anna non è roba di nessuno. Spenge quell'inutile autoradio. Uno, due minuti. Anna così piccola e leggera, Anna è una fotografia che danza nel vento, si avvicina e si allontana ogni secondo, poi d'istinto vola via e tornerà tra chissà quanto, e non c'è niente di più inutile che rincorrerla, marcando bene i passi, senza nascondersi, e lasciarsela sfuggire goffamente, testimone il mondo intero di quel lento incedere e dello scemare di ogni sua minima speranza. Come stasera. Le casse ricominciano a cantare, suoni ormai distanti, tutto quel che basta per non sentirsi solo ora è il colore familiare della luce che scende dai primi lampioni, casa si avvicina, le nuvole di nebbia si tingono di rosso, sembra quasi caldo, là fuori. Rallenta, accosta, si ferma, una boccata d'aria, un sorso d'acqua alla fontanella che lui solo può chiamare per nome. Un lungo sospiro, le casse là dentro continuano a sputare blues.
Risale in macchina, ancora un abbraccio caldo di musica, forse un dolce addio. Casa sembra avvicinarsi, ma la sua mente sta imboccando un'altra via, spinge un tasto, sotto, giù vicino al cambio, l'autoradio sputa via la cassetta quasi con rabbia, si cambia genere in tutto e per tutto, spargiamo fuoco sulle macerie danzanti del tempo. Nirvana. La macchina corre, sosta all'unico semaforo acceso di tutta la nottata, poi torna a sfiorare i settanta di crociera che la nebbia concede alla sua vista. E' tardi, un gesto privo di ogni senso, sta tornando indietro, chissà lei cosa ne penserà, domani. E' tardi, del tutto fuori luogo quell'insegna che sfrecciava sulla destra, poco spazio ai pensieri, una serie di curve senza fine, se i pensieri tornano raccontano di lei, della faccia che farà domani mattina, trovandoselo davanti agli occhi. Ha fatto inversione poco fa e per poco non baciava la cunetta, Polly wants cracker, l'insano Creatore non ha niente da obiettare. Casa rallenta, si ferma, rimane a distanza. Casa si allontana, quella casa di sogni e desideri, di tappezzeria strappata, quella casa che è un grande contorno per la sua camera, privata, da tenere nascosta, come la lettera di quella ragazza che alle medie scriveva timide illusioni, voglia di abbracci e parole leggere. Leggere, sì, come la canzone di quel Ligabue Luciano che crede che la coerenza si conquisti attraverso la monotonia. Stop. La macchina corre, il mondo dinnanzi è un palcoscenico vuoto, i suoni muoiono in sacrificio alla memoria di Kurt, nella testa volteggia solo l'immagine di lei che si accuccia a baciarlo. La canzone arriva all'apice, il ragazzo sta strappandosi via i rimpianti e le corde vocali, improvvisa Lei l'assale, titubante, in punta di vertigine, Nostra Padrona Pioggia Signora della Notte. Al cambio della guardia, la luna, se mai c'era stata, scompare insieme al grigio amaro dell'ora passata, negli occhi è un buio puntellato di schegge d'Africa. Il grido cade sotto i suoi colpi e si affievolisce in un canto dimesso.
Pioggia, nella strada, nei pensieri, in ogni dove. Quella pioggia che copre tutto e non significa niente, le gocce deviano sfuggendo, in ritardo, la lama lucente del tergicristallo. Il piccolo cavaliere della notte gli siede accanto narrandogli di Anna, delle sue vocali aperte e delle sue mille acconciature; lui guida distratto, si accontenta di sognare, per adesso. La immagina sveglia, alla finestra aperta a contemplare il cielo incolore che lui falcia e corrode pian piano, lei e i suoi capelli, il fumo di una light nascosto tra le dita, la testa dondolante, una canzone tra le labbra, un controtempo strascicato sorridendo, sola e dispersa, regina del mondo. Immagina la sua voce prender forza e vibrare e riempire ogni goccia d'acqua di colori, d'oro, sangue, neve, foglie, lacrime e cristallo. Lei, lei sola, nessun altro, al mondo.
La pioggia poco a poco se ne va; Anna, acre gioiello spezzato, rimane al suo posto; lui, come sempre, alza il volume e prega che dio non esista o che almeno lasci in pace il suo più grave errore, la sua coscienza; come niente lui, che si avvicina, inizia a cedere. Certamente c'é qualcosa che non torna, un recinto rabbioso naviga in questa stasi col fascino blasfemo di un meccanismo automatico. Le immagini ristagnano come provviste lasciate a marcire, piccoli quadri da non appendere ad una parete così candida, accesa di rabbia, vuota e defunta, colore del sonno e di un colpo alle spalle. Tutto ciò a cui può aggrapparsi sono piccole macchie ormai dimenticate, sentore di qualche perdita.
Ripete dentro sé le frasi umide che le lascerà in dono, appunti conservati come perle d'importazione, solchi rimasti scoperti nel tempo di semina. Il viaggio gli rovista dentro e porta a galla i rumori più scomodi, come non bastasse l'essere solo, scacciare scacciare scacciare tutto ciò non è cosa da poco, provare un boccone d'aria e una bibita al finestrino sembra così inutile, il buio restituisce un pallido oceano di scintille in lontananza, il paese si raccuccia nel suo letto, il male cresce.
Passano i minuti finché non c'è più musica, si può ascoltare soltanto il rumore della nebbia e del motore in contrappunto. Passa un'intera vita prima che la notte decida di lasciarlo, alla fine del viaggio. Scende, si concede qualche passo per saggiare il suo corpo indolenzito. Torna al sedile, come una scure il sonno lo coglie improvviso, la testa riversa anelante all'indietro.
Il risveglio esala un rumore discreto, di canditi che ticchettano su una campana di vetro, dita sul finestrino socchiuso. Sente chiamare il suo nome, leggero. Apre gli occhi, insieme, lentamente, lei sorride senza quasi crederci. Non c'è bisogno di spiegare, è così buffo e dolce. Sembra come voltare pagina, mentre è solo un prendersi più in giro. Ma non importa, oggi. Casa non c'è più, relegata tra i ricordi più lontani come le remore svanite con la nebbia. Anna sorride, stanotte si è tagliata i capelli, chissà perché, il non senso che ha guidato questo viaggio li ha seguiti entrambi. Con le forbici, racconta, davanti allo specchio, mentre lui l'immagina.
26lug02 / 26nov03
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