Non era molto tardi quando mi sono svegliato stamattina: i raggi del sole roteavano sui miei occhi ancora insonnoliti con movimento leggero, delicato e brevi spiragli d’aria modulavano sul mio corpo supino nella penombra dormiente. Indugiare nel letto quando ancora, fuori dalle coperte il mattino si appende a lievi brezze d’alba è una di quelle cose che adoro fare sempre anche se spesso non ne ho la possibilità; mi piace soprattutto concentrarmi per qualche istante e fermarmi ad ascoltare lo straordinario silenzio della casa. Lei poi si muove così naturalmente che non riesco mai ad avvertire una parola, un passo un gesto che mi rammenti la sua presenza. Qualche volta penso che si ponga nello spazio che la circonda esattamente come un verde ruscello si pone in una quieta foresta: non è immobile di per sé, ma con il suo scorrere contribuisce a creare un’immagine di estatico silenzio. Forse non avevo voglia di interrompere il mio torpore mattutino, ma nemmeno volevo che il giorno pieno mi cogliesse ancora a letto, rovinando irrimediabilmente l’incanto. Mi sono alzato quindi, e ho deciso di pensare a cosa indossare mentre facevo colazione. Avviandomi verso la cucina, la porta del bagno era socchiusa e le ho gettato un’occhiata distratta. Ho visto, passando, un breve tratto di corpo candido e levigato, così luminoso nella penombra intorno: era leggermente proteso in avanti, tanto che non sono riuscito a scorgerne il capo, ma quale linea flessuosa di luna nuova ne inarcava, dolcissima, la schiena, quale sapore di erba evaporata fluttuava lento da lui! Mi è sembrato di scorgere uno squarcio di cielo incorniciato da fronde allungate di alberi mentre la porta mi socchiudeva uno spiraglio minimo del corpo di lei, vivo e gaio come mai mi era apparso prima. Quanto ho distolto la mente da quella visione stavo già preparando il caffè, convinto di voler essere un sasso proteso per sempre sul verde ruscello di una quieta foresta.
Gennaio 1998