formikaio


Patty
questa cosa costruita intorno ad una frase di Elitis

 

 

Anche se per me sarebbe difficile dare una descrizione dell'insetto, giacché non ne ho mai visto uno da vicino, in altri momenti lo avrei schiacciato come una pulce.
Avevo più e più volte immaginato una serie di brutali torture e sevizie ai quali lo avrei sottoposto se, un giorno, fossi riuscito a mettergli le mani addosso. Brutali, si, perché la raffinatezza non fa parte del mio essere. E poi, a che valeva essere raffinati con uno come lui?
Per anni avevo sognato di bucargli la pancia con un coltellaccio, di quelli che si usano per scannare i maiali, tagliargli le orecchie e strappargli a pezzi la lingua (Cristo se deve far male la lingua! Ce ne accorgiamo quando la morsichiamo per sbaglio.); Ma ora, ora che il momento era quasi arrivato, cominciavo a essere preso dai dubbi. Improvvisamente mi sentivo fuori posto, incerto, con una sensazione di vuoto dentro.
I miei pensieri (che la mente partoriva) erano esplosioni improvvise, violente e contrastanti allucinazioni che solo un morto, in crisi di astinenza dalla vita, può svegliandosi all'improvviso farneticare mentre è ancora intorpidito.

Pensieri di uno spirito liberato e poi di nuovo imprigionato dentro a un corpo che nonostante abbia le tue sembianze, nonostante sai bene che ci sei dentro con tutte le scarpe, nonostante indossi ancora il vestito buono e tra le mani hai il vecchio rosario nero della vedovanza, appartenuto a tua madre e prima ancora alla madre di tua madre, non riesci proprio a vedere come tuo, e non ti riconosceresti se tra le anime che ti vengono incontro non ci fossero quelle familiari dei tuoi genitori, i tuoi fratelli, i nonni, gli zii i cugini, i vicini di casa, i compagni di scuola, tutti i tuoi amici, i colleghi di lavoro, tra i quali alcuni quando erano ancora in vita non ti hanno salutato mai.
Tutti ora salutano e ti aiutano a sollevare l'anima che ha il suo bel peso, e ti dicono mogi: "Ciao! Ti trovo bene, non sei cambiato per niente!"

Prima la morte poi il soave nulla, poi il buio e la quiete, un sogno infinito e dopo arriva la resurrezione.
I pensieri si svegliano in labirinti di nuvole e insieme al vento infuocato esplode il temporale divino.
L'acqua di fuoco a pioggia ti squassa l'anima e te la rovescia finché di nuovo comincia a scendere acqua tiepida, acqua tiepida interminabile e sussurri.

Le nuvole di cui parlo sono spinte dal soffio divino, veloci passano, ti scaricano addosso tanta di quell'acqua universale che al tuo risveglio a dir poco ti senti stupido e davanti al giudizio divino, sei già tutto inzuppato.


Quando muori
in un momento
ti addormenti
e capita
mi dicono
che pensi
d'esser vivo
e credi ancora
di pensare
invece
sei già morto
ed è l'eterno sonno
che savio suggerisce
il sogno

Ti dice sottovoce
che sei molto arrabbiato
perché quando eri vivo
la vita ti ha lasciato
L'onda mortale
prostrata al vento
all'acqua di quel mare
schiocca la lingua
così ti prende
portandoti lontano
davanti al dio del mondo
e al suo cospetto
la mia lingua
mostro bugiardo
e in ginocchio
e costretto
dirò la verità
battendo sul mio petto
il cuore solitario
e al futuro in profumo
di corone fiorite
farò la mia supplica


Svegliandoci dal lungo sonno ci ritrovammo davanti a qualcosa di immenso, talmente immenso, per i nostri occhi straniti che, appena aperti, ancora sonnecchianti non compresero in modo rapido guardando oltre quella enorme lente lucente, messa a fuoco da pinze pelose, l'insetto più organizzato che in vita ci fosse capitato di incontrare cioè, una formica enorme in dimensioni mai viste che dire gigante sarebbe approssimativo e molto limitativo.

Con un camice bianco e le antenne di acciaio brillante, come fossero protesi o aggeggi di lavoro, forse invece solo un vezzo ma chi mai può dirlo quando il mistero è tanto grande e la sorpresa così stupefacente da confondere non solo le idee, ma tutti i sensi contemporaneamente.

Se si considera che anche un'anima catapultata, dopo abissali viaggi nel sonno eterno, possa sentirsi spossata e averne tutte le ragioni nel momento solenne della resurrezione.

Raccontare una storia che sembra impossibile, non è facile e per convincervi non ho le prove.
Certe manifestazioni reali, vi assicuro, non corrispondono affatto all'immaginario e qui, dove ora io mi trovo, mi dicono che di giudizi universali ne sono stati fatti tanti e che una moltitudine di anime aspetta da secoli il giudizio finale senza andare di fretta.

Era avvenuta la fine del mio mondo e noi, finalmente riposati, aprivamo gli occhi stanchi di solo sonno.

Ci risvegliammo e increduli salutammo i nostri morti che tutti vivi, spaesati un poco, ci sorridevano.

Mio nonno coi suoi baffoni rossi mi diceva che era felice perché la rivoluzione avrebbe vinto lo strapotere dei potenti.

Mia nonna era attenta alla gente e ogni tanto salutava qualcuno mentre già si allontanava cercando i suoi figli.

Due gemelli insanguinati piangevano e sconsolati chiamavano la mamma, non vedendola a loro vicina pensai a quante madri si seppelliscono lontane dai propri figli, ma oramai non aveva senso preoccuparsi e tantomeno ne aveva rattristarsi.

Era la terra intorno bianca e piana, a perdita d'occhio montagne grigie altissime forse ghiacciai.
L'ombra indefinita del dio formica scivolava su quelle cime con la stessa cura che ha un uccello per il suo nido.
Lo sgomento era tanto quanto l'inquietudine ed io uso questi termini umani perché possiate capirmi.
Mi appariva infinito lo spazio negli orizzonti degli occhi tutti intorno che mi guardavano attoniti.

"Siamo tutti vivi,.. per il momento", disse il figlio del portiere, stranamente me lo ricordo bene, io che non ricordo niente, potrei testimoniarlo anche davanti a un giudice di averlo visto steso in terra con la testa disintegrata all'impatto col suolo da un salto di almeno 20 metri.
Mi torna in mente anche la madre di lui che mi veniva incontro sulle scale e mi diceva: "Hai visto? C'è riuscito, alla fine si è tolto la vita..".
Si, effettivamente dopo innumerevoli tentativi, "l'esperimento" gli era riuscito proprio come desiderava, in un momento di disattenzione della madre che gli faceva da guardiana, proprio come fosse un comandamento, in quell'attimo regalatogli dal destino libero fuggì volando.

Ancora su quella morte ci rifletto, del resto, per quanto io ne sappia e per quanto mi sforzi di ampliare i miei punti di vista ogni individuo, credo, sia proprietario del suo corpo oltre che dello spirito puro che non è alcool, ma di sicuro è infiammabile.
Per questo motivo mi domando tuttora il perché ostacolare una persona che rifiuti di vivere e sia determinata ad uccidersi.

La madre lo teneva in prigione dentro una stanza senza finestre, lo controllava sempre a vista, da anni prigioniera anch'essa di un incubo, ma doveva salvarlo.

Quanto poco rispetto e comprensione per la vita umana  pensavo, ma di strani pensieri se ne fanno tanti e ciò che allora mi appariva "strano", ora mi appare comprensibile, infatti anche qui davanti al divino c'è chi vuole andare e chi vuole restare.

Qualcuno mi ha raccontato che ogni tanto qualche anima riesca ad andarsene per ritornare stabilmente sulla terra, ma forse sono solo leggende.

Comunque, ora che lo avevo davanti e lo vedevo di nuovo tutto intero e contento di essere risorto con la sua testa sul collo, pensai a quante volte la realtà supera l'immaginario.

"La vita è sacra", mi ripeteva mia zia suora, pace all'anima sua.

Una donna deve essere forte per i propri figli e per il proprio Dio, diceva, o viceversa.

Crescerli, educarli e seguirli per tutta la vita, sono i suoi compiti.

Però lei figli non ne aveva e io, nonostante fossi piccolo, capivo benissimo che mi dava a bere una cosa strana perché voleva curarmi del suo male.

La sentivo origliando da dietro la porta che parlava al telefono con il suo amante dicendo maialate.

L'uomo, dall'altra parte di quel filo, lo immaginavo rosso in viso con le guance lucide di grasso, e labbra viscide, scure, come fossero visciole sott'olio.

Poi, senza stupirmene, tanto lo avevo immaginato bene, venni a sapere chi era, tenni quel grasso segreto in corpo come non lo avessi mai saputo e anche adesso preferisco tacere la sua identità, per evitare di ungermi.

Dio era la formica, e ci stava osservando da dietro la lente.

So che quel che dico può apparire la fantasia di un folle, oppure potrebbe sembrare lo scherzo di un giullare di corte, eppure credetemi, se volete vi presento mia cugina, lei di sicuro ve lo confermerà, anche un mio lontano parente, tanto lontano che non ricordo il suo nome, e non capisco il perché proprio in un giudizio universale ci si vada ad imbattere con certa gente che sarebbe meglio perdere che incontrare, comunque si fermò un attimo lì accanto e facendo un cenno in direzione della formicona ci disse: "Ma avete visto? Siamo risorti ma non riesco a riprendermi, per un pelo non mi prende un colpo!" e lo diceva a me, che a dirla tutta, nonostante che il pelo adesso possa risultare scontato, anche se ora mi rendo conto che non serve parlarne, però beh, insomma, io ne avevo avuta l'intuizione, e qualche preghiera l'avevo detta la sera prima di coricarmi, e avevo anche controllato la sveglia e regolato l'orario.

Prima di intraprendere qual si voglia viaggio, è meglio lasciare sempre tutto in ordine. Cosa buona è fare i doveri a dovere e riordinare con diligenza e metodo carte oggetti e pensieri, poi potete chiudervi alle spalle tranquillamente la porta di casa, senza alcun timore, potete chiudere gli occhi alla vista di un mondo e sentirvi in pace, un altro mondo è già pronto ad accogliervi e voi che ancora non ne conoscete i misteri, vi sentirete sereni di avere bene accudito i vostri  che conoscete bene.

Si preoccupava del pelo della formicona soltanto perché gli era caduto addosso. Il pelo in effetti era grande quanto una sequoia pietrificata, con gli strati del tempo eterno circolarmente definiti da vivaci colori cristallini. Si era staccato dalla zampa della formica e gli era caduto addosso alzando il polverone.
Lo spavento per quella caduta infatti, per il grande rumore che aveva fatto lo capivamo tutti, quello che invece non si riusciva a capire era perché mai proprio lui che per hobby faceva il cacciatore e per hobby aveva ammazzato tanti animali, si stupisse per il pelo di una formica.
Il senso della misura a volte ci manca, chissà che non si debba inventarne uno nuovo prendendo come campione la misura di una formica, tenendo presente, che potrebbe crescere a dismisura.

Ma torniamo al destino.
Proprio quel giorno sarei dovuto partire per raggiungere a Livorno una mia amica, ma, per una serie di contrattempi s'era rimandato tutto al giorno dopo.

Dal porto, saremmo partiti per Capraia con il traghetto.

Quando si dice: "il destino avverso se fosse partito il giorno prima non sarebbe accaduto niente," - questo diceva la gente speculando, il giorno dopo.

Quella sera m'addormentai pensando al mare e già navigavo sopra l'onde, già il vento mi spettinava i capelli mentre sognando guardavo la curva dell'orizzonte, e l'isola mi appariva come se fosse il pugno di un uomo immerso nell'acqua salata, un uomo fatto di roccia e di terra.

Quest'uomo (che sognavo), lo vedevo intento a misurare la distanza dal fondo del mare fin sulla superficie delle onde, e mi invitava a stare attento, sembrava come dicesse: "Qui non si tocca! Prudenza, quando vi fate il bagno!"

Viaggiai il giorno dopo, di buon mattino, e in poche ore ero a Livorno all'appuntamento con la mia amica.

Dal porto di Livorno salpammo in una meravigliosa giornata di sole, ricordo che era caldo e avevo voglia di fare un bagno al mare.

La formicona, dall'enorme microscopio divino ci stava osservando, tutta compita, nei suoi benedetti compiti.

Io, che mi sentivo osservato, non sapevo se sentirmi un infermo o se invece all'inferno, o sopra ad una barella gigante, oppure un reperto archeologico ritrovato nel deserto, invece che un batterio, o forse addirittura un virus.

Ci osservava inespressiva (la formicona), come se non sentisse nemmeno il nostro odore, nonostante fossimo in tanti, in quello spazio di raccolta male organizzato che a mio parere per un giudizio universale, e in tutta quella confusione, che almeno quella si poteva bene immaginare, mi sarei aspettato migliori attrezzature, o per lo meno i servizi minimi necessari.

Io l'odore lo sentivo fin troppo bene, e avevo messo una molletta proprio sul naso per avere le mani libere per stringere altre mani. Tante volte in vita ho fatto più cose nello stesso tempo e intanto che mi proteggevo quel senso delicato che è il naso, contattavo altre anime.

Nonostante che la presenza della grande formica e delle sue antenne ci mettesse addosso un enorme disagio, noi eravamo in tanti e ci sentivamo uniti, e piano cominciavamo a sentirci contenti di essere ancora una volta tutti insieme.

Ma l'evento si apprestava ad iniziare irrevocabile, e forse saremmo stati divisi.

Noi peccatori fiduciosi, nella speranza di una possibile entrata in paradiso concentravamo i nostri pensieri sulla vita passata scavandoci dentro peccati, colpe, penitenze, e quant'altro potesse tornare utile in quel momento assoluto.

Ci si confrontava sui peccati che potevano ostacolarci l'entrata in paradiso, cercando di capire, quali erano per la grande formica i peccati mortali.

Ammetto che le discussioni spesso si animavano a un punto tale da scatenare risse.
Capitava per esempio, che i morti uccisi si ritrovassero a discutere proprio con chi li aveva assassinati e vi lascio immaginare il parapiglia.
Ma alla fine raggiungemmo più o meno compatti uno slogan positivo comune, che era il seguente: "comunque vada l'esperienza è irrinunciabile!"
Infatti se ci pensate bene, per chi ama le emozioni forti il giudizio di per sé poteva essere considerato già un paradiso per lo sconvolgimento assoluto di tutte le emozioni che avrebbe provocato. In quell'occasione democraticamente vinse la maggioranza, ma io non ero d'accordo.

Voi forse il giudizio universale lo immaginate diverso.
Avete la mia comprensione da vivo, ma da morto e davanti a un giudizio, anche tacendo, potrei guardarvi in faccia senza che mi vediate e soffiarvi nelle orecchie il bisbiglio del dubbio che potreste ricredervi al momento e non esserne nemmeno sorpresi.

Con le mani inconsistenti controllerete il vostro corpo inesistente, che sembrerà leggero come il fumo filtrato dalla luce ma invece è la materia di studio per la formica gigante e non è leggero per niente.

"La tua anima, non ti sostiene!" diceva zia suora , ma la mia anima più o meno come tutte si sostiene ancora, e più in fondo, ogni giorno, si ritrovano i morti e ci si adopra per risollevarli e sostenerli.

 

Ci si dà da fare per un giudizio universale.

Il cognato di mia zia aveva riconosciuto una sua ex allieva da un ciondolo che la fanciulla portava intorno al collo. I due, da vivi si erano amati platonicamente, e forse, se non fossero morti a seguito di quell'incidente, di sicuro si sarebbero fidanzati e si sarebbero uniti, finanche sposati.  Finalmente avrebbero consumato anche l'amore fisico, di cui a quei tempi non si abusava come fosse la caramella per l'alito forte da profumare.

Ai tempi in cui i due vivevano, da quello che la zia suora mi raccontava, l'amore era vissuto in modo molto diverso, ma io a questa storia non ci ho creduto mai.

La formicona cominciò a dividerci.

Metteva insieme tutti quelli con i capelli biondi e con quelli con i capelli bianchi metteva anche gli albini. Così io dovetti allontanarmi da mio cugino Mario, per il quale ho sempre provato invidia dei suoi capelli biondi come l'oro, lisci e fluenti, sempre ben pettinati, e mi ritrovai con la figlia della signora Maria che portava le meches (ciocche colorate). Con lei, quando eravamo alle secondarie di primo grado, mi intrattenevo chiacchierando alla mattina, aspettando il tramvai per raggiungere il centro.
Io, sono tuttora sicuro che allora si tingesse i capelli di rosso, come del resto ho sempre fatto anche io. Mi chiesi dunque, se la formica, si rendesse conto che il nostro non era un colore naturale, ma era voluto, e non perché fosse il colore che andava di moda, ma perché si intonava meglio al colore dei nostri occhi.

La figlia di Maria, comunque, cambiava spesso colore e ciò mi confuse, perché non riuscivo a capire cosa ci facessi con lei nello stesso quadrato di raccolta.

La formica ci divideva in base al colore dei capelli, senza nemmeno controllare, se qualcuno li avesse tinti oppure scoloriti.

Fu nel quadrato dove mi introdussero insieme con la figlia di Maria, man mano che la divisione procedeva, che incontrai un amico dello stesso mio quartiere. 

Fu una gioia davvero poterlo abbracciare.

Mi disse subito se mi ricordavo di quella volta che avevamo marinato la scuola. accadde che sulla strada ci fermammo ad accarezzare un cucciolo abbandonato, era così piccolo e indifeso quel cucciolo, e nessuno si era accorto di lui, piccino, dietro la ruota di una 600 Fiat.

Io si, che cominciavo a ricordare tutto, in quel momento mi resi conto che non vedevo intorno nemmeno un cane da accarezzare.
Cristo! dove saranno tutti i miei cani? Mi domandai terrificato.

Potevo sopportare l'idea che un dio avesse sembianze mostruose, ma solo il pensiero che fosse tanto ingiusto da non permettere ai cani di entrare, mi rendeva furente.

Forse si tratta di protagonismo, oppure di egoismo, sarà la smania degli attori ai quali piace recitare un ruolo scritto proprio per loro, ma i cani dovevano entrare ed io cominciai a recitare.

Forse ci sono delle storie che sarebbe bene non raccontare, come quella della zia suora e del suo amante, infatti taccio.

Se non altro tacere forse è meglio per non togliere agli altri il buon gusto che il sapere ruba allo stupore, e la meraviglia nonostante il giudizio mi appare ancora un ricordo legato alla vita, che si esalta mentre fugge lontano.

Sono molto stanco e a quest'ora le anime dormono.

Sono qui dove sono già da tanto tempo e sinceramente non mi sembra il paradiso del riposo.

A pensarci meglio, visto che non amo fregare il prossimo, visto che quello che ho visto forse non è ancora definitivo perché in aggiunta mi manca un giudizio, vi dirò quel che è accaduto.

Io per sbaglio, in quanto ho i capelli colorati di rosso, finivo all'interno di un quadrato di raccolta per capelli con le meches, e per sbaglio finivo nel giudizio sbagliato.

Dio è una grande formicona che non posso schiacciare come se fosse una pulce.

Da lontano, quelle montagne bianche non sono ghiacciai sopra le nuvole, ma perenni giganteschi formicai, dove le anime dei morti si contano senza più tenerne il conto.

Di mia zia suora non s'è vista nemmeno l'ombra, forse ha incontrato il suo amante, forse i due, protetti dall'olio santo di quella faccia grassa, compressi nella folla, saranno sgusciati via slittando direttamente in paradiso, poiché, nella confusione generale, spesso accade che qualcuno anche non meritevole trovi il suo posto in cielo come lo aveva trovato in terra, ossia, per via di quella stessa faccia grassa.

Di noi non si sa ancora la fine mancano alcuni timbri e qualche bollo, a causa di procedure interminabili le attese si fanno assai lente, e le estenuanti code sono infinite, profonde come l'abisso.

Un mare d'anime si è stretto dentro la gole bianche dei formicai, e immenso si lamenta il mare, dondolando nell'onde il sale dei suoi ricordi.

La mia morte ve la racconto un'altra volta, oppure, se voi siete d'accordo, stanotte ve la bisbiglio direttamente nelle orecchie.

Però non ho finito: se vi capita di essere distratti e camminare guardando le farfalle in cielo pensando che il mondo intero vi appartenga, rubati al mondo dai vostri stessi sogni; ricordate che potreste calpestare formiche, e questo a quanto pare è un peccato molto grave, è ingiusto e scorretto, un misfatto davvero maledetto.

Un'altra cosa ancora, se decidete di tingervi i capelli, non fatelo con superficialità ma pensateci bene, che almeno in cielo per il vostro giudizio finale, davanti alla grande formica, rivendichiate per la vostra testa un colore preciso da voi scelto, avendo almeno la speranza che un giorno vi inseriscano dentro il quadrato giusto.

Io intanto aspetto l'onnipotenza degli eventi.

Oso dire che siamo tutti nelle mani della grande formicona, e qui forse è il purgatorio.

 

 

Patrizia Mirada Beba Dada Geonida  Boom Ipazia Sferifa Piera e chi più ne ha più ne metta.


Creative Commons